mercoledì 30 luglio 2008

Blog Donna.

Da Repubblica.it posto questo articolo che sottolinea un fenomeno che già avevamo trattato sul blog Pranista in passato.
Le donne e le mamme sono l'utenza più attiva nel mondo delle conversazioni online: blog come sottolinea l'articolo, ma non solo. Anzi, aggiungo io. Sutto il web 2.0 come sosteneva womma.org qualche mese fa: social network, forum, ecc.

E a noi relatori pubblici interessa parecchio inutile dirlo. Il Buzz marketing è donna, anzi mamma, tanto che è nato un neologismo ad hoc (ma dai!!!) il Mommyblogging.
Non solo per il caso specifico (il target mamma/donna) ma per le conclusioni più generali che possiamo trarne e che hanno a che fare con il genere di relazione che si instaura tra piattaforme 2.0 & utenti.

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Inchiesta negli Stati Uniti: al femminile il 46 per cento degli utentiMolti i siti dedicati alle madri. Ma si parla anche di tecnologia e di minoranze etniche
L'esercito delle donne blogger Negli Usa 36 milioni, quasi 1 su 2
di PAOLO PONTONIERE

NEW YORK - Se non la si è ancora realizzata nelle redazioni dei giornali, sembra che la parità tra i sessi - almeno negli Usa e in termini numerici - si stia avverando sul web e particolarmente nell'area del blogging. Secondo una ricerca del Pew Internet & American Life Project, il 46 per cento dei blogger statunitensi sarebbero per l'appunto donne. Trentasei milioni, secondo il San Francisco Chronicle, uno dei maggiori quotidiani californiani, di cui oltre la metà al di sotto dei 30 anni, nei loro posting discutono di esperienze personali, di famiglia, scuola, mariti, fidanzati e bambini. Si scambiano suggerimenti su come affrontare le varie sfide della vita quotidiana. Ponderano di politica. Criticano arte e letteratura e fanno musica. Non stupisce quindi che siano diventate un referente privilegiato delle case pubblicitarie di Madison Avenue e delle maggiori aziende statunitensi. Imprese, per intenderci, come la General Electric e NBC Universal, che di recente hanno versato oltre 5 milioni di dollari nelle casse di BlogHer, che con 30000 aderenti è uno dei principali social network americani per donne che fanno il blogging, mentre industrie come la GM, la Microsoft e Macy quest'anno hanno sponsorizzato la maggior parte degli eventi che si sono tenuti al convegno internazionale delle blogger di San Francisco. Qui, oltre a discutere di tematiche generali, le bloggiste si sono rimoboccate le maniche ed hanno tenuto anche corsi di formazione su come fare blogging e come trattare tematiche controverse come la sessualità e le disabilità infantili. Ma sebbene crescente su tutti i fronti del blogging, la presenza femminile è diventata una vera potenza alla voce "mamme".
Mommyblogging, l'hanno definito gli esperti delle Forrester Research, uno dei principali istituti di ricerca e marketing degli USA, rivelando che tra gli adulti americani quello delle mamme con figli al di sotto dei 18 anni è il gruppo di blogger più numeroso del web: rappresenta il 15 per cento del totale a fronte di un 12 per cento del resto degli adulti. Un dato questo che non è sfuggito agli esperti di marketing che stanno abandonando i canali pubblicitari tradizionali, come le telenovelas, per concentrarsi sui blog delle mamme.


"Il Mommyblogging è diventato uno dei canali più lucrativi del web", ha affermato Jory Des Jardins, cofondatrice di Blogher.com, durante il convegno di San Francisco. E a ragion veduta, sostiene Charlene Li, ex analista tecnologica di fama internazionale trasformatasi di recente in blogger a tempo pieno, "Quando in famiglia ci sono bambini le spese arrivano al cielo". Bloggiste come la Li , la Des Jardins, Heather Armstrong, cofondatrice pure lei di BlogHer.com e ideatrice del blog http://www.doce.com/, Stefania Pomponi Butler creatrice di CiTy Mama , Mir Kamin animatrice di WouldaShoulda e Carmen Staicer hanno così trovato il modo di trasfromare il loro hobby in un'attività che le aiuta a pagare - nelle parole di Pomponi Butler- "L'asilo, il pedicure e i cocktails". Nel caso della Armstrong, il cui marito s'è addirittura licenziato dal lavoro per aiutarla a mantenere il sito, le entrate generate da doce.com a questo punto pagano anche i salari e il mutuo della casa. Ma il blogging non è solo per mamme. A BlogHer queste rappresentano solo una parte delle 15 mila bloggiste che pubblicano regolarmente sul sito. Una grande porzione sono donne giovani che utilizzano il network, e il proprio blog indipendente, per seguire le proprie aspirazioni e gli interessi più disparati. Alcune, come Eliane Foliet, lasciano la loro impronta anche in campi come la tecnologia, che tradizionalmente erano dominio indiscusso dei maschi. La Fiolet infatti ha creato Ubergizmo, uno dei più seguiti blog per prodotti hi-tech del web. "Scrivere un blog mi ha dato la visibilità che mi mancava prima", afferma la Fiolet, "Mi ha trasformato in un operatore credibile dei media, e se prima potevo fare solo recensioni di prodotti, adesso i CEO delle più grandi compagnie mondiali non disdegnano di farsi intervistare". E così i social network delle blogger si espandono pure loro a vista d'occhio. A fianco dello storico womenbloggers, che fu lanciato nel 2004 e limita l'accesso solo alle donne che scrivono un blog, di recente sul web sono arrivati anche blogsbywomen, che si focalizza su questioni di salute e fitness femminile e blackwomenblogger, che si pone come punto di riferimento sul web per le donne di colore, con una opinione forte.

lunedì 28 luglio 2008

Video Games

Prendo lo spunto da un pezzo tratto da Noema sul marketing dei videogames, per sottolineare quanto possano essere interessanti come media (intermediari delle nostre relazioni) i videogames per diverse opportunità di comunicazione intrinseche ai giochi stessi:

- product placement;
- stili di consumo (abbigliamento, food & beverage, sport, ecc.);
- sponsorizzazioni;
- social networks;
- co-marketing.


Halo 3. Marketing Case History Alessandro Cavaleri
Il videogame è diventato, al pari del cinema, un prodotto industriale di massa, i cui costi di produzione hanno toccato punte vertiginose e dove eventuali fallimenti possono rovinare i bilanci delle software house e dei publisher coinvolti nel progetto.
Negli ultimi anni l’industria videoludica sempre più spesso si è affidata ad accattivanti campagne marketing, con lo scopo di salvaguardare gli investimenti, generando nei videogiocatori l’amato/odiato hype, l’attesa o meglio l’ansia, nei nuovi titoli in uscita.
La dimensione del marketing nell’industria videoludica è in costante ascesa, spesso nella sua pianificazione si sono messe in atto alcune metodologie già affinate da tempo dal cinema o da altri media.

Per esempio l’uso di trailer fortemente cinematografici è diventata una costante nella promozione iniziale oppure, come nella New Hollywood, si da origine a “brand” di successo allo scopo di “sfruttarli” in formulazioni seriali anche a carattere multimediale.

venerdì 25 luglio 2008

Volare alto

Dal sito web di Ryan Air www.ryanair.com un'azione di Corpo(rate) Communication particolare.

E il NYT incentiva il social network biz

Da Womma blog: New York Times Taps Into LinkedIn's Connections
Un recente accordo tra il social network professionale LinkedIn and The New York Times (peraltro molto attento al web 2.0 e del wom marketing - essendo anche socio di WOMMA) permetterà agli utenti di LinkedIn di vedere i contenuti del NYT correlati alle lro aziende.
Gli utenti potranno anche condividere e discutere gli articoli del NYTimes.com entro i loro networks utilizzando un strumento-web che sarà inserito nelle pagine del NYT.
Entrambe le parti sperano che la partnership possa espandere i reciproci networks e i sottoscrittori.


Mi sembra un'azione molto intelligente, che testimonia la rilevanza che i social network di genere business stanno assumendo sempre più per il nostro mondo. Inutile fare la solita lamentela sull'Italia - ancora in una fase pionieristica - piuttosto è interessante notare come in Italia la battaglia LinkedIn-Viadeo per la supremazia sul web italiano sia solo all'inizio e che diventa per entrambi sempre più necessario affilare gli strumenti e incrementare partnership di rilievo.

giovedì 24 luglio 2008

TMF SULLE CONNESSIONI RP &CASO TAVAROLI

Tavaroli, l'affair Telecom e le Relazioni Pubbliche

Toni Muzi Falconi rilegge alla luce delle Relazioni Pubbliche, commenta e invita a leggere le dichiarazioni rilasciate da Giuliano Tavaroli al giornalista di Repubblica Giuseppe D’Avanzo sul caso Telecom. “Una lezione da cui, come relatori pubblici, abbiamo molto da imparare”.
24/07/2008, Notizie Ferpi, Commenti

Nei giorni scorsi si è almeno in questa prima fase, conclusa l’inchiesta sui dossier riservati attribuiti a Telecom Italia (gestione Tronchetti Provera) con il rinvio a giudizio di una trentina di persone e con il non rinvio a giudizio di Marco Tronchetti Provera e di Carlo Buora. Principale imputato è Giuliano Tavaroli, all’epoca a capo del servizio sicurezza di Pirelli e consulente diretto del presidente di Telecom (sempre Tronchetti).
Della vicenda ne avevamo già scritto all’epoca della consegna agli arresti domiciliari di un giornalista (Guglielmo Sasinini, già vice direttore di Famiglia Cristiana) che, cambiando casacca, aveva lavorato per Tavaroli per contribuire a raccogliere informazioni. Dicevamo allora che la raccolta di informazioni sugli stakeholder per una qualsiasi organizzazione rientrava storicamente fra i compiti solitamente affidati alle relazioni pubbliche, nel loro ruolo di ‘boundary spanning’ o, se preferiamo, di ascolto per mettere l’organizzazione in condizioni di sapere, di prevedere, di intuire e di orientare i suoi comportamenti. Dicevamo che anche questa funzione, specializzatasi all’inverosimile anche grazie alla globalizzazione dell’economia e ai progressi delle tecnologia informatiche, rischiava di costituire un ulteriore passo verso la disintermediazione del nostro ruolo.
Il quotidiano La Repubblica e in particolare Giuseppe D’Avanzo, fra le penne più influenti e reputate di quel quotidiano, ha pubblicato nei giorni scorsi, in due puntate successive I e II, l’esito di alcuni colloqui recenti avuti con Tavaroli. L’ex capo della sicurezza di Pirelli/Telecom vuota il sacco (naturalmente è imputato e, come lui stesso afferma, non ha nulla da perdere…quindi le sue dichiarazioni vanno prese con infinite molle..compresa quella, solennemente smentita poche ore dopo la pubblicazione, che vorrebbe coinvolgere Piero Fassino, finito da diverso tempo sotto il ciclone di malelingue che non ne sopportano la serietà e l’incorrutibilità). Soprattutto, getta una luce finalmente comprensibile sulla rete di raccolta di conoscenze che l’azienda, che dovrà rispondere oggettivamente in Tribunale in base alla legge 231 sulla responsabilità oggettiva, aveva all’epoca steso in tutto il mondo al fine di anticipare e neutralizzare quella che lo stesso Tavaroli definisce ‘una azione per screditare la reputazione di Tronchetti Provera’. Questi due articoli rappresentano per noi relatori pubblici una lettura assai istruttiva, ed è solo per questa ragione che vi invitiamo a leggerla con attenzione.
Se anche ogni informazione che Tavaroli ci fornisce fosse falsa (ed è una ipotesi solo parzialmente verosimile) è il linguaggio manageriale usato da Tavaroli, un linguaggio che assomiglia molto a quello che usiamo anche noi, che ci deve indurre ad una meditata riflessione sui confini civili, etici e giuridici della nostra professione.
Ma che c’entriamo noi con le spie? Dirà qualcuno che legge. C’entriamo, c’entriamo.
E’ sufficiente leggere la descrizione che lo stesso D’Avanzo fornisce del lavoro delle spie per capire che ci siamo dentro anche noi. E’ sufficiente scorrere gli elenchi infiniti delle persone citate da Tavaroli, indagate dai suoi dossier e coinvolte nella indagine per capire quanto sono frequenti i nomi dei nostri colleghi, o di persone che in una o nell’altra fase della loro carriera hanno fatto il nostro mestiere. Di certo non ci sono barbieri, ma neppure pubblicitari, e neppure responsabili del personale o commercialisti, o notai. Molti politici e brasseurs d’affaires, guarda caso quasi tutti ex relatori pubblici…
Ora che, come dice Tavaroli, le imprese hanno assunto il pieno controllo del governo della sicurezza in partnership con i servizi di alcuni governi, e che per avere informazioni sensibili che possano aiutarle ad assumere comportamenti e decisioni a basso rischio reputazione, le imprese investono risorse assai ingenti…il ruolo del relatore pubblico cambia anche quello. Se siamo responsabili non solo della csr, dei rapporti con i media, degli eventi e della comunicazione interna, ma anche dei rapporti con le istituzioni e dell’ascolto degli stakeholder, come emergerà chiaramente anche da quanto si dirà al congresso Euprera di ottobre a Milano sul processo di istituzionalizzazione della funzione, ne conseguono perlomeno alcune specifiche responsabilità.
Le relazioni pubbliche sono tecniche neutrali, come qualsiasi altra. Non vanno usate mai per screditare o mettere in cattiva luce un avversario, un concorrente, un nemico. Questo comportamento ha un nome molto preciso: black pr. E allora si operi per vietare, anche per legge, questo tipo di attività che fa parte non saltuaria della nostra ‘cassetta degli attrezzi’, e soprattutto si operi per diffondere fra i professionisti e soprattutto i giovani che questa pratiche sono deleterie per il futuro stesso della professione che fanno o ambiscono a intraprendere.
Le leggi vanno sempre e comunque rispettate (è fatta salva la facoltà di operare una trasparente attività di lobby per modificarle, ma finché esistono vanno rispettate). Quindi i relatori pubblici, che siano consulenti o interni alle organizzazioni, vigilino attentamente affinché questo avvenga e, quando hanno anche un dubbio, non lo tengano per sé come quasi sempre fanno, ma lo esplicitino. Questo non è, come forse potrebbe sembrare, un invito moralistico a fare il ‘whistle blower’, ma una misura certamente efficace per cercare di prevenire il crollo reputazionale della organizzazione per la quale o con la quale lavoriamo.
Il mercato cresce e non moriamo di fame. Quindi i relatori pubblici, magari senza necessariamente sbandierarlo ai quattro venti, sappiano dire di no, sappiano cambiare organizzazione, sappiano tirare su la schiena troppo sovente protesa all’inchino. Io so di molti colleghi che questo lo hanno saputo fare e che oggi hanno eccellenti e invidiabili posizioni. So invece di altri che non l’hanno voluto o saputo fare e che oggi fanno fatica ad alzarsi dal tappeto in cui si sono cacciati.
So benissimo che la Telecom di oggi non ha nulla o poco a che vedere con quella di quegli anni e stimo molte delle persone e dei colleghi che vi lavorano. So benissimo che la Telecom di quegli anni è solo la punta di un iceberg e che tante sono le imprese che operano nelle condizioni descritte da Tavaroli.
Ma se non usiamo l’esperienza vissuta per cambiare in meglio (sempre nel senso di essere più efficaci, di contribuire ad aumentare la licenza di operare dei nostri clienti/datori di lavoro) cos’altro possiamo fare?

sabato 19 luglio 2008

Sport & PR

Il pezzo d'apertura dell'ultimo numero di PRWeek parla di come la federazione di tennis inglese abbia assoldato uno dei migliori e più noti PR inglesi (Max Clifford) per cambiare la percezione del tennis come sport da ricchi.
A questo proposito essendo un golfista e dato che ultimamente mi sto occupando di qualcosa di simile (volontaristicamente) per il mio club, non posso non riflettere sul ruolo di secondo piano che in Italia ricoprono la comunicazione, il marketing e ovviamente le RP nello sport.
Mentre il calcio è l'argomento più letto della stampa italiana in generale ed un settore economico di primaria importanza, solo i club di A e B solitamente prevedono figure come il mkt manager (che spesso svolge anche il ruolo di ufficio stampa nei club minori). Pochissime squadre hanno figure specializzate nella comunicazione e nelle RP. 
Non parliamo poi degli altri sport. La stessa funzione che si occupa delle sponsorizzazioni spesso è una figura prestata a questa attività magari con idee anche creative (nelle migliori ipotesi) ma con scarsissime competenze professionali.
Si tratta di un settore enorme con cui dovremmo aprire un dialogo e a cui far capire la rilevanza di un buon piano di marketing&comunicazione e tutti i vantaggi economici che porterebbe alle sponsorizzazioni.
E che invece tralasciamo quasi sempre nei nostri dibattiti.

martedì 15 luglio 2008

Comunicazione Pubblica: grande è la confusione sotto il cielo

Non c'è che dire... Per chi era abituato a ricevere le newsletter del Compa per tenersi aggiornato su novità, studi e segnalazioni varie sulla comunicazione, da qualche tempo la casella di posta ha cominciato a sdoppiare le mail di comunicazione pubblica lasciando tutti un po' interdetti.

Poi il trasferimento di Compa a Milano ad opera di Conference Service, contestato dall'Associazione Italiana della Comunicazione Pubblica e Istituzionale (fondatrice del salone...)
Come diceva Mao Tze Tung “Grande è la confusione sotto il cielo dunque tutto è stupendo". Non proprio.

La Comunicazione Pubblica è un settore che non esiste: con i fondi pubblici in calo vorticoso da anni e una pubblica amministrazione sempre più affannata. Il Salone negli ultimi anni si reggeva praticamente su grandi espositori istituzionali (esercito, caramba, ministeri vari, qualche regione) ma erano completamente scomparsi i piccoli enti. Le stesse aziende fornitrici degli enti pubblici non sono mai state numericamente significanti.

La differenza e l'interesse inizialmente stava nella qualità di alcuni workshop, nel confronto tra best practices, nelle idee innovative di qualche dirigente comunicazione e in qualche premio.

La parte culturale aveva una sua dignità, la parte espositiva molto meno. Sentendo i commenti dell'una e dell'altra parte (soprattutto off records) non ci sono proprio baci e coccole.

Cos' la comunicazione pubblica? Un segmento, una specializzazione, un aspetto del mondo della comunicazione. E se è stata scambiata per qualcos'altro è perché c'erano molti soldi da spendere e spandere...

Ma soprattutto. Non esistendo un salone/fiera/mostra di rilevanza nazionale sulla comunicazione, come può esistere un salone su un segmento del mondo della comunicazione? Un segmento tra l'altro notoriamente in bolletta... e a quanto pare in confusione.

martedì 8 luglio 2008

E intanto la Green Communication va... oltremanica

La scorsa settimana su PRWeek c'era un bel servizio sul direttore comunicazione di Greenpeace UK, Ben Stewart. A settembre Stewart andrà sotto processo per danni . Se condannato si tratterà del primo attivista ambientalista a essere condannato.
Proprio domani (9 luglio) a Londra si tiene una one-day conference sulla green communication il cui payoff è significativo: Green Advocacy, not Greenwash.

Greenwash è in gergo l'operazione con cui vengono ingannati consumatori-cittadini con presunti comportamenti ambientalisti che poi non si rivelano tali.
Interessante la conferenza di Londra perché ospita corporation (P&G, Virgin, Shell e altri), ONG (WWF, Greenpeace, ecc.) e giornalisti inserendo negli obiettivi:
  • posizionare l'ambiente come parte chiave nella reputazione e nella corporate identity;
  • creare una comunicazione verde vincente senza scadere nello spin;
  • rafforzare la CSRe la comunicazione eco;
  • evitare crisis communication di genere "ecologico";
  • incrementare l'ispirazione ecologica della propria organizzazione (green your staff).
In attesa degli atti del convegno, non possiamo non riconoscere questo spazio di relazione come un'ottima opportunità di PR.

martedì 1 luglio 2008

Il bioritmo della comunicazione politica

Una svalvolata postmoderna sulla comunicazione politica, sulla campagna elettorale permanente e sul permanere di abitudini comunicative cattive...


Ieri a Torino, in occasione dell'assemblea annuale di Ferpi, abbiamo assistito a un interessantee seminario "E' la comunicazione che cambia la politica, o la politica che cambia la comunicazione?".

Proprio in questi giorni discutevo con alcuni amici che hanno ripristinato la Festa dell'Unità in un paesino emiliano (rosso doc) dopo anni che questa non veniva fatta. L'evento pur non riuscendo male, non ha raggiunto gli obiettivi numerici che si era posto, ma oprattutto non ha rispecchiato neanche il numero di voti che il PD ha comunque preso anche a Aprile (stravincendo come sempre).

I motivi possono essere tanti. Quello che mi era parso di percepire e che credo possa essere correlato all'intervento del prof Azzoni eri a Torino riguarda il concetto post-moderno di identità e di liquidità.

Da Lyotard a Baumann non si fa altro che sottolineare il tema delle identità liquida, della mancanza di legami forti, della voglia di comunità, ecc. E' anche il tema che riguarda la crisi dei sondaggi politici con buona pace di Piepoli.

Ciò che ho percepito chiedendo a numerose persone di andare alla rinata Festa dell'Unità di Pieve, per amicizia e per vicinanza ideologica, era che si trattava di una partecipazione troppo compromettente per una festa (un brand) così identitaria.
Compromettente per la propria multidentità, per il proprio self, per la propria faccia.
Paradossalmente il veltronesco non solo ma anche è proprio la sintesi postmoderna di questo modo di essere.
Sulle soluzioni individuate da Azzoni non sono proprio d'accordo. Il Prof. invitava comunicazione e politica e reinventare gli spazi-luoghi e soprattutto i contesti di comunicazione.
Premesso che secondo me gli spazi-luoghi (r)esistono - ma probabilmente hanno differenti modalità di fruizione ripetto al passato - credo invece ciò che comunicazione e politica sentono sfuggire e ciò cui dovrebbero lavorare è il concetto di tempo-flusso.
Un concetto che un po' si coglie con l'idea del momentum nel marketing elettorale americano ciò di cui comunicazione & politica hanno bisogno: quel momento in cui il flusso di energia del corpo elettorale è più potente. E' il momento in cui l'identità politica si polarizza su uno degli schieramenti. E' un momento. Il luogo invece presuppone che lo si abiti ed è molto più difficile da gestire per una identità multipla-liquida quale quella postmoderna. Oggi è più facile che il luogo sia quello di una curva dello stadio piuttosto che quello di una sede/festa di partito.
Il resto del tempo, adattandosi anche ad un bioritmo più naturale della vita civile, sarebbe bene che comunicazione e politica ascoltassero ma soprattutto governassero (l'una le relazioni, l'altra la res publica). Insomma il tema mi sembra quello di eliminare l'ossessione della campagna elettorale permanente e passare ad un gestione dei ritmi politico-comunicativi di più largo respiro anche per non stressare continuamente l'elettore (che è anche consumatore, cittadino, hobbista, navigatore, ecc.). Per una questione di efficienza della strategia più che per considerazioni etico-morali.

Nuovo blog

Dal 2 gennaio pubblico i miei post su  https://pranista.blog/