50 volti della Comunicazione
50 autoritratti contemporanei
50 autoritratti contemporanei
Da bambina avevo un sogno.
Uno di quelli che riescono a sottrarti il sonno e l'appetito, di quelli che avvolgono le tue giornate in un sentimento di inesorabile incompletezza.
Da bambina avevo un sogno: ed era conoscere il volto dell'arrotino.
Sì, esatto. L'arrotino, quella voce gutturale che esplodeva dall'altoparlante per riversarsi con la potenza di uno tsunami nelle strade di tutta Italia, che irrompeva attraverso le nostre finestre rivelandoci che se coltelli consunti e ombrelli smussati erano il male, lui era la cura.
Quella voce doveva avere un volto, e io dovevo scoprirlo.
Avanti, siamo sinceri. L'arrotino è il profeta di tutti i comunicatori, il vate della propaganda, il patriarca del marketing.
Questa è la storia del mio atavico ingresso nell’universo della pubblicità: il mistero dell'arrotino mi ha dato l’imprinting, e gli anni ’80 hanno fatto il resto, regalandomi un pacchiano e patinato immaginario fatto di Cedrata Tassoni, di Diavolina, di camicie coi baffi e di Ta-Tà Ta-Tabù (anche bianco).
Ed eccomi lì, qualche anno più tardi, in una foto che mi ritrae di fronte all'ingresso di un prestigioso ateneo: una laurea in comunicazione in una mano, una magnum di spumante nell’altra, ma soprattutto tante idee in tasca e una gran voglia di iniziare a costruire magici altoparlanti per permettere al prossimo di portare il proprio messaggio in ogni casa.
Perché per me la comunicazione non è nient’altro che trovare la giusta tonalità di voce per farsi ascoltare. Non è bugia, non è demagogia: è trovare un punto di contatto, è combinare parole ed immagini per scovare l’alchimia che rende interessante quello che hai da dire.
E’ un vero peccato (e chiunque bazzichi nell’advertising lo sa bene), che quando inizi a lavorarci dentro ti rendi conto che le cose non vanno esattamente così. E forse la lenta agonia del mio entusiasmo è iniziata quando ho dovuto fare i conti con i primi “Lo vorrei un po’ più blu”, e “Mettiamoci un paio di tette, che quelle funzionano sempre”.
Lo so, lo so, state calmi. Non vivo nel Paese dei Balocchi. Lo scopo primario è vendere, è convincere: questo è un mantra che nessun pubblicitario che si rispetti deve smettere di ripetersi. Dunque, lungi da me redigere il tazebao della perfetta comunicazione; semplicemente mi piacerebbe capire se là fuori c’è qualche indefesso sognatore come me, che di fronte a certe dinamiche si trova a provare lo stesso livello di frustrazione di un malato di Parkinson ad un torneo di shangai.
In buona sostanza, io il volto dell’arrotino non l’ho ancora scoperto.
Ma non ancora ho perso la speranza e la voglia di cercarlo: spero solo di trovarlo in tempo, prima di gettare la spugna e di rendermi conto che, una volta trovato, tutto sommato “lo vorrei più blu”.
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