Prima di una Crisi spesso ci si concentra sui diversi problemi, non riconoscendo che si è già entrati una Crisi di Reputazione e che occorre individuare una strategia complessiva e non solamente arginare questo o quel problema contingente.
Soprattutto (a livello politico in particolare) i protagonisti e gli interessati diretti spesso vedono nei problemi e nelle polemiche, operazioni montate ad arte dagli avversari, dimenticando da un lato gli errori effettivamente commessi (che sempre ci sono anche se lievi) e dall'altro l'impatto che essi hanno sui propri pubblici.
Occorre invece prestare molta attenzione perché, in particolare in ambiti politici locali, una volta che un cittadino qualunque mette la propria faccia su un problema è difficile che questa venga tolta: è troppo il coinvolgimento diretto per essere poi messo da parte con noncuranza. L'avversario che riesce quindi a soffiare sul fuoco e a mobilitare, prende un vantaggio che non è solo nel merito del problema ma anche nell'intera modalità di racconto della storia.
In particolare sono i ruoli che vengono attribuiti (Don Rodrigo, il potente prepotente, Robin Hood, il cattivo, il buono, il ciarlatano, l'incompetente, ecc.) che sono difficili da ribaltare. Una volta entrati male in una storia non è facile riuscire ad uscirne.
La mobilitazione locale ha effetti di lunghissima durata perché si basa principalmente sul passaparola, che in provincia segue i percorsi del pettegolezzo ma soprattutto gli itinerari degli opinion leader locali: bar, edicole, parrucchieri, negozianti... la piazza. Ed oggi i social network, in particolare facebook, che hanno un effetto di corto circuito sul reale.
Tuttavia, nonostante l'importanza dei social network, non va sopravvalutato l'impatto che essi possono avere: per farlo occorre però misurarli e saperlo fare. In particolare va misurato il grado di interazione che c'è nel determinato gruppo online di cittadini incazzati: se a scrivere son in due non c'è grande interazione e probabilmente il gruppo si è ampliato viralmente molto ma non è utilizzato al meglio. Occorre verificare se vengono inviati messaggi (tramite posta facebook) ai membri. E per farlo occorre iscriversi a costo di aggiungere un'unità in più al nemico. Bisogna ascoltare e misurare l'impatto per poi decidere come intervenire: quindi rispondere? Non c'è una risposta univoca: a volta un intervento di risposta può dare più enfasi e legittimare una posizione di quanto meriti, altre volte è necessario. Tuttavia ignorare tout court è un suicidio: occorre sempre ascoltare e analizzare/misurare.
Per prima cosa occorre analizzare la crisi, prendere una posizione e brieffare i propri collaboratori, consiglieri, consulenti per avere un'unica posizione/interpretazione nel merito e per offrire all'esterno una prospettiva coerente. Considerare quindi un position paper da diffondere internamente.
Allo stesso modo per fronteggiare i sintomi di una crisi in arrivo, occorre essere presenti nei luoghi reali: frequentare i luoghi dell'opinione pubblica cittadina, partecipare al dibattito, ascoltare nuovamente e decidere. Lasciare completamente in mano agli avversari l'iniziativa diretta è pericoloso.
Non attribuire solo all'interesse politico la polemica: "sono manipolati dall'avversario" offende chi ci ha messo la faccia.
Poi ci sono i media locali: le pagine dei quotidiani possono avere un discreto impatto ("l'hanno scritto i giornali") ma in ultima sede non sono l'unico strumento e anche essi vanno maneggiati con cautela.
Insomma una crisi di reputazione anche a livello locale va possibilmente prevenuta, non sottovalutando i sintomi.
La crisi di reputazione va prevenuta (ma va!) ma una volta scoppiata occorre evitare di:
1. ignorarla credendo che passi come un temporale estivo;
2. focalizzarsi solo sugli avversari politici e fare di tutta un'erba un fascio;
3. non ascoltare;
4. non rispondere;
5. non analizzare i propri errori;
6. continuare a perpetuare il ruolo che viene attribuito dalla narrazione (l'arrogante, il potente, colui che non ascolta);
7. non utilizzare tutti gli strumenti di comunicazione;
8. non brieffare adeguatamente i propri consiglieri, segretari, consulenti, ecc.;
9. lasciare libera interpretazione (interna ed esterna) dei fatti;
10. non riconoscere pubblicamente i propri errori.
Soprattutto (a livello politico in particolare) i protagonisti e gli interessati diretti spesso vedono nei problemi e nelle polemiche, operazioni montate ad arte dagli avversari, dimenticando da un lato gli errori effettivamente commessi (che sempre ci sono anche se lievi) e dall'altro l'impatto che essi hanno sui propri pubblici.
Occorre invece prestare molta attenzione perché, in particolare in ambiti politici locali, una volta che un cittadino qualunque mette la propria faccia su un problema è difficile che questa venga tolta: è troppo il coinvolgimento diretto per essere poi messo da parte con noncuranza. L'avversario che riesce quindi a soffiare sul fuoco e a mobilitare, prende un vantaggio che non è solo nel merito del problema ma anche nell'intera modalità di racconto della storia.
In particolare sono i ruoli che vengono attribuiti (Don Rodrigo, il potente prepotente, Robin Hood, il cattivo, il buono, il ciarlatano, l'incompetente, ecc.) che sono difficili da ribaltare. Una volta entrati male in una storia non è facile riuscire ad uscirne.
La mobilitazione locale ha effetti di lunghissima durata perché si basa principalmente sul passaparola, che in provincia segue i percorsi del pettegolezzo ma soprattutto gli itinerari degli opinion leader locali: bar, edicole, parrucchieri, negozianti... la piazza. Ed oggi i social network, in particolare facebook, che hanno un effetto di corto circuito sul reale.
Tuttavia, nonostante l'importanza dei social network, non va sopravvalutato l'impatto che essi possono avere: per farlo occorre però misurarli e saperlo fare. In particolare va misurato il grado di interazione che c'è nel determinato gruppo online di cittadini incazzati: se a scrivere son in due non c'è grande interazione e probabilmente il gruppo si è ampliato viralmente molto ma non è utilizzato al meglio. Occorre verificare se vengono inviati messaggi (tramite posta facebook) ai membri. E per farlo occorre iscriversi a costo di aggiungere un'unità in più al nemico. Bisogna ascoltare e misurare l'impatto per poi decidere come intervenire: quindi rispondere? Non c'è una risposta univoca: a volta un intervento di risposta può dare più enfasi e legittimare una posizione di quanto meriti, altre volte è necessario. Tuttavia ignorare tout court è un suicidio: occorre sempre ascoltare e analizzare/misurare.
Per prima cosa occorre analizzare la crisi, prendere una posizione e brieffare i propri collaboratori, consiglieri, consulenti per avere un'unica posizione/interpretazione nel merito e per offrire all'esterno una prospettiva coerente. Considerare quindi un position paper da diffondere internamente.
Allo stesso modo per fronteggiare i sintomi di una crisi in arrivo, occorre essere presenti nei luoghi reali: frequentare i luoghi dell'opinione pubblica cittadina, partecipare al dibattito, ascoltare nuovamente e decidere. Lasciare completamente in mano agli avversari l'iniziativa diretta è pericoloso.
Non attribuire solo all'interesse politico la polemica: "sono manipolati dall'avversario" offende chi ci ha messo la faccia.
Poi ci sono i media locali: le pagine dei quotidiani possono avere un discreto impatto ("l'hanno scritto i giornali") ma in ultima sede non sono l'unico strumento e anche essi vanno maneggiati con cautela.
Insomma una crisi di reputazione anche a livello locale va possibilmente prevenuta, non sottovalutando i sintomi.
La crisi di reputazione va prevenuta (ma va!) ma una volta scoppiata occorre evitare di:
1. ignorarla credendo che passi come un temporale estivo;
2. focalizzarsi solo sugli avversari politici e fare di tutta un'erba un fascio;
3. non ascoltare;
4. non rispondere;
5. non analizzare i propri errori;
6. continuare a perpetuare il ruolo che viene attribuito dalla narrazione (l'arrogante, il potente, colui che non ascolta);
7. non utilizzare tutti gli strumenti di comunicazione;
8. non brieffare adeguatamente i propri consiglieri, segretari, consulenti, ecc.;
9. lasciare libera interpretazione (interna ed esterna) dei fatti;
10. non riconoscere pubblicamente i propri errori.
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