50 autoritratti contemporanei
Da bambina ero convinta che da grande sarei diventata una maestra. Al liceo una professoressa. All’università che avrei provato (il condizionale è ancora d’obbligo) a diventare una docente universitaria. Di certo posso dire che la determinazione non mi è mai mancata. Dopo la laurea in relazioni pubbliche alla IULM ho provato l’esperienza della consulenza ma in meno di un anno ho cambiato idea. Ho capito che la strada giusta da intraprendere era proprio quella della carriera accademica. 9 anni sono passati: due assegni di ricerca, un dottorato in economia, marketing e comunicazione d’impresa, e alla fine il concorso da ricercatrice all’Università IULM è arrivato. Posso dire di aver già realizzato il mio sogno nel cassetto: dedicare la mia vita allo studio e all’insegnamento.
Penso che il lavoro del ricercatore universitario sia una delle professioni più idealizzate che ci siano. Incontro ogni anno tanti neolaureati il cui sogno è “lavorare in università per fare ricerca”. Alla domanda ma cosa significa per te “lavorare in università per fare ricerca”, scopro che l’immaginazione non ha freni. Per me fare il ricercatore universitario non significa accumulare conoscenza, bensì creare la conoscenza e saperla mettere al servizio di chi può farne buon uso. Di sicuro per le organizzazioni complesse che dalla ricerca in comunicazione possono trarre spunti per costruire le basi del loro successo. E’ proprio in quest’ottica che da più di quattro anni il tema di ricerca che mi sta più a cuore è la misurazione dei risultati della comunicazione. Per aiutare i manager a distinguere la comunicazione efficace da quella che non lo è. Per adattare alla comunicazione leve anche di natura economica, come la tanto vituperata formula del ritorno sull’investimento (ROI).
In questo percorso professionale non posso che avere parole di ringraziamento per il mio maestro, per il ruolo che i suoi insegnamenti hanno avuto nella mia crescita e per le mie scelte, Emanuele Invernizzi. Non dimentico poi nemmeno i consigli che mi ha dato Toni Muzi Falconi che mi ha aiutato a non perdere mai di vista il collegamento con la professione. Certo è che sono stata fortunata. Con due punti di riferimento così, penserete non si può che essere privilegiati. Sì la fortuna l’ho avuta davvero. E quello che c’ho messo io, oltre alla buona volontà e qualche sacrificio, è tanto tanto ascolto. E’ il consiglio che rivolgo sempre a chi è più giovane di me, agli studenti, di ascoltare, ascoltare, ascoltare e saper valorizzare gli insegnamenti che vengono da chi quella strada l’ha percorsa prima di noi, ed è diventato quello che noi vorremmo essere da grandi.
Contatto: stefania.romenti(@)iulm.it
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