C'è un interessante riflessione di Carlo Formenti in un articolo pubblicato oggi su Corriere Economia e ripreso da Ferpi.it su come evolverà lo scenario mondiale dell'informazione con le conseguenti considerazione su nicchie, opinioni pubbliche. Come spesso accade c'è una visione un po' troppo catastrofista e decisamente troppo determinista: l'evoluzione tecnologica deciderebbe il funzionamento sociale. Come tutti gli scienziati di comunicazione sanno, non è mai stato così e la tecnologia ha influenzato il cambiamento sociale ed è stata cambiata dalla società.
Non credo proprio che nel giro di qualche anno tutti faremo uso solamente di news online e i.net; credo anzi che si imporrà un sistema mediatico fortemente polarizzato su ipernicchie (tipicamente i gruppi dei vari social network, ma le stesse audience dei lettori di giornali) e supermedia di massa (televisioni generaliste in primis, ma anche i lettori dei grandi portaloni).
Ciò che a noi interessa come comunicatori è riuscire a comprendere la schizofrenia del sistema che si prospetta e a gestire le relazioni con chi è in grado di influenzarlo. Ecco le conclusioni dell'articolo con cui però non concordo.
Da un lato, infatti, evocano l’immagine di un’opinione pubblica frammentata, fatta di tante piccole tribù che condividono un numero limitato di conoscenze e informazioni, dotate ognuna del proprio idiosincratico patrimonio culturale e dominate da capitribù (opinion leader) carismatici.
Dall’altro, prospettano lo scenario di un’informazione in cui le minoranze, qualunque sia la qualità dei loro argomenti, avranno accesso alla parola esclusivamente nella misura in cui faranno fatturato (pubblicitario). E con questo la sfera pubblica teorizzata da Jurgen Habermas, il luogo del libero confronto e dell’interazione fra tutte le voci del corpo sociale, sarà definitivamente morta e sepolta.
Non credo proprio che nel giro di qualche anno tutti faremo uso solamente di news online e i.net; credo anzi che si imporrà un sistema mediatico fortemente polarizzato su ipernicchie (tipicamente i gruppi dei vari social network, ma le stesse audience dei lettori di giornali) e supermedia di massa (televisioni generaliste in primis, ma anche i lettori dei grandi portaloni).
Ciò che a noi interessa come comunicatori è riuscire a comprendere la schizofrenia del sistema che si prospetta e a gestire le relazioni con chi è in grado di influenzarlo. Ecco le conclusioni dell'articolo con cui però non concordo.
Da un lato, infatti, evocano l’immagine di un’opinione pubblica frammentata, fatta di tante piccole tribù che condividono un numero limitato di conoscenze e informazioni, dotate ognuna del proprio idiosincratico patrimonio culturale e dominate da capitribù (opinion leader) carismatici.
Dall’altro, prospettano lo scenario di un’informazione in cui le minoranze, qualunque sia la qualità dei loro argomenti, avranno accesso alla parola esclusivamente nella misura in cui faranno fatturato (pubblicitario). E con questo la sfera pubblica teorizzata da Jurgen Habermas, il luogo del libero confronto e dell’interazione fra tutte le voci del corpo sociale, sarà definitivamente morta e sepolta.