Son assolutamente d'accordo nel ripensare e codificare 'a livello collettivo' (perché naturalmente ognuno di noi ha già sviluppato un suo modello che si adatta alla realtà) il business delle relazioni pubbliche tenendo presente soprattutto:
- le PMI, queste sconosciute (in particolare quelle che non ci utilizzano capendone il perché);
- la crisi economica e sociale in atto, che costringe a minori budget, a più concretezza e (fortunatamente) a più sobrietà;
- le opportunità del momento storico che sono rappresentate da nuove tecnologie (rete 2.0), esigenze di trasparenza-partecipazione e l'emergenza straordinaria ma ancora sottovalutata - in comunicazione - della green economy.
Non è solo una necessità cambiare il modello dominante (anglosassone?) della grande azienda di relazioni pubbliche in qualcosa di più aderente all'economia del nostro paese e al mondo iperconnesso-globale; è anche un enorme opportunità, un grandioso bacino di piccole-medie imprese che hanno bisogno di comunicarsi.
Però con Rosanna dico: ascoltiamole! Soprattutto quelle (e son la maggior parte) che di noi non si son servite: con le PMI non c'è un dialogo.
Ultimo flash: ieri in un golf hotel-ristobar abbiamo scambiato (in anonimo) quattro chiacchiere da bar con i due titolari... lanciandogli la provocazione 'comunicate male/non comunicate'; è emerso che non si fidavano delle agenzie di marketing/comunicazione, ecc. perché -veccha storia- dicevano "come fai a sapere se i soldi che gli hai dato son serviti o no?"
Il tema della misurazione dei risultati ovviamente; ma a livello profondo il tema di "chi cura la reputazione dei manager della reputazione? chi cura le rp di noi pr?"
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