Dopo il risultato del referendum, mi convinco ancora una volta di più di una stringente necessità: c'è bisogno di una cultura di comunicazione più responsabile. C'è bisogno di organizzazioni più comunicative, ma nel senso indicato dal Melbourne Mandate ormai 4 anni fa, in cui la stessa strategia venga influenzata dai comunicatori, che devono svolgere un ruolo più strategico, portando all'interno delle strategie la propria capacità di ascolto.
Io penso che l'esito negativo sul referendum abbia molto più a che fare con le aspettative gonfiate ed oggi deluse nell'elettorato rispetto all'azione di governo. E che queste aspettative siano state gonfiate a causa di un atteggiamento bulimico dal punto di vista della comunicazione, che in questi mesi è stata un bombardamento continuato.
A prescindere da come la si pensasse nel merito della riforma, sappiamo tutti che il voto che è stato espresso ieri ha riguardato un giudizio sul governo in carica, anzi sul premier in carica.
E volendo rimanere sempre neutri nell'analisi, in questi due anni e mezzo il governo può aver fatto cose che giudichiamo positive o negative, ma la sostanzza da un punto di vista meramente comunicativo è che ha sovra-comunicato ed è passato da un apprezzamento per la sua capacità comunicativa ad essere percepito per un propagandista alla continua ricerca del consenso.
In un post che avevo scritto a dicembre 2014, proprio pensando al governo in carica e a noi stessi comunicatori, mi permettevo di suggerire un po' di strategia del silenzio per evitare questa spirale di propaganda/sovracomunicazione che alla lunga avrebbe generato sfiducia e incredulità; cosa che mi sono sentito di ribadire a settembre riflettendo sul terremoto (su Ferpi.it) e sulla ossessiva rincorsa al consenso da parte del governo.
E' chiaro che non è semplice; ma non è semplice anche perché la comunicazione è stata scambiata (forse proprio per il ventennio appena passato) per propaganda, quando in realta la società è cambiata, il flusso informativo si è radicalemente modificato, l'intermediazione giornalistica sta assumendo un ruolo diverso (forse secondario, forse meno autorevole?), la televisione si sta riposizionando, i social network hanno minato l'autorevolezza degli opinion leader novecenteschi, il cambiamento geopolitico ha determinato la crisi delle classi dirigenti...
Io vedo una luce in fondo al tunnel per gestire il cambiamento e contribuire a una società ed un futuro migliori; è un'esigenza insopprimibile per la classe politica come per qualunque altra organizzazione (economica e sociale) ed ha a che fare direttamente con la comunicazione e le relazioni pubbliche: si tratta di maggiore responsabilità nella comunicazione, maggiore ascolto dei propri stakeholder, maggiore trasparenza e capacità di trattenersi dall'inseguire il consenso.