mercoledì 9 gennaio 2013

Il lato oscuro del cross selling

Proprio ieri stavo leggendo il primo articolo di Harvard Business Review di dicembre scorso, The Dark Side of Cross Selling - poi come sempre ho interrotto la lettura per ficcarmi su un'altra cosa.
Dopo qualche ora mi telefona una gentile impiegata di una società che commercializza voli aerei online per propormi l'acquisto di un'assicurazione. A novembre avevo acquistato un volo aereo per l'estero dal loro sito. E nell'intro della telefonata il razionale utilizzato per giustificare la proposta diventa proprio quello: "dato che lei ha acquistato un volo aereo per l'estero"
Dopo aver ascoltato per un paio di minuti i vantaggi assicurativi per qualsiasi sfiga immaginabile, dico che non m'interessa. Perché dovete usare i miei preziosi dati personali per vendermi l'ennesima assicurazione? Perché mi devono contattare da un'agenzia viaggi per propormi qualcosa che non appartiene al loro business e a ciò che mi aspetto da loro? Forse perché non guadagnano abbastanza? Forse perché stanno perdendo la loro riconosciuta leadership di mercato?
Leggendomi poi l'articolo dell'HBR ho imparato dalla ricerca presentata che il cross-selling non sempre  automaticamente genera guadagni all'azienda che lo fa...
Nella ricerca l'analisi si focalizza principalmente sugli effetti economici del cross selling; sarebbe anche interessante approfondire quanto il cross selling possa disturbare il cliente, quindi gli effetti immateriali e più legati alla reputazione dell'azienda.
Per chiudere l'esempio principe del mal-cross-selling, cioè le poste. Le poste che vendono e offrono di tutto (dai servizi finanziari allo smercio di prodotti di ogni tipo) e non riescono mai, ma dico mai, a soddisfarmi nel loro core-business: pagamento dei bollettini, consegna posta e spedizione pacchi.

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