domenica 31 luglio 2011

Capitalism a love story... attualissimo e Propagandissimo.

Capitalism - a love story di Michael Moore è del 2009. Guardarlo oggi, in piena crisi politico economica italiana e alla vigilia della decisione americana di alzare il tetto del debito mi ha fatto un effetto particolare.
Ho apprezzato tutti i film di MM che ho visto (Bowling a Columbine, Fareneight 9/11, Sicko e Capitalism) e, pur riconoscendone spesso alcune forzature, ho sempre pensato che avessero qualcosa di geniale e una capacità di raccontare idee e storie inarrivabile.
Oggi quest'idea mi si rafforza con Capitalism che preconizza la situazione Debito-Default USA che rischierà di indebitare ancor di più il popolo americano, più che altro per sfamare Corporate America. Ma per quanto ancora può durare? E noi?

LA PROPAGANDA
Interessante anche il discorso, che sempre ritorna in MM anche negli altri film, su quella che viene definita la propaganda (davvero intesa alla Bernays - se si hanno in mente le sue parole nel capitolo del libro Propaganda dedicato alla missione delle RP per lo stato americano) della Corporate America e dei Ricchi che riescono a mantenere il consenso su un sistema che crea sempre più disuguaglianze (1% ricchi vs. 99% poveri) e sempre meno benessere diffuso.
E' anche il discorso che Chomsky e i radicali, critici della democrazia americana, portano avanti da tempo e che vede coinvolti i principali mass media, le grandi corporation, Wall Street in particolare e ovviamente il sistema politico americano. Con un lavoro di lobbying e relazioni pubbliche piuttosto intenso.
Guardando MM viene il dubbio che sia davvero così.

Google e le spese in RP

Anche i Googles spendono... in RP.

da Il Foglio

Così Mountain View si conferma in un certo senso “democratica” e creativa coerentemente con lo spirito delle origini, anche se qualche altro campanello d’allarme c’è. Per esempio, la normalizzazione passa anche per un record di spese in lobbying: nel trimestre aprile-giugno, per la prima volta l’azienda californiana ha superato quota 2 milioni di dollari in spese di relazioni pubbliche (contro 1,5 milioni di un anno fa e battendo gli 1,85 milioni spesi da un pachiderma considerato filogovernativo come Microsoft), soprattutto per contrastare le recenti inchieste della Federal Trade Commission americana su presunti dumping che Google compirebbe per blindare il suo monopolio sulla pubblicità online (e l’amministratore delegato del gruppo Larry Page dovrà presentarsi a settembre davanti alla commissione per rispondere di queste accuse). Sembrano più lontani insomma i tempi goliardici delle origini in cui Page e Sergey Brin volevano cambiare il mondo con un algoritmo. Tempi che vengono raccontati in un libro appena uscito negli Usa. Si intitola “I’m feeling lucky” (Houghton Mifflin Harcourt editori), come una vecchia funzione di ricerca di Google, anche questa recentemente sparita nel processo di normalizzazione, ed è il racconto in prima persona di 6 anni passati a Mountain View dall’autore, Douglas Edwards, primo “brand manager” del gruppo. Il libro non è certo il primo in materia, ma è l’unico a essere stato scritto da un insider e non da un giornalista, ed è naturalmente una miniera di aneddoti.

A un certo punto Sergey Brin suggerì per esempio di spendere l’intero budget per il marketing in due iniziative socialmente utili: vaccinare gratis tutti i rifugiati ceceni contro il colera e/o distribuire gratis nelle scuole preservativi a marchio Google. Altri progetti: trasformare Mountain View in una mega casa editrice ed etichetta discografica per tutti gli aspiranti scrittori e musicisti del mondo, che sarebbero stati poi rimborsati con i proventi della pubblicità. Il tutto mentre, racconta Edwards, Brin e Page si disinteressavano totalmente dei guadagni dello sbarco in Borsa del 2004 che li avrebbe resi multimiliardari, essendo più attirati invece dai meccanismi informatici del listino. Altri tempi, verrebbe da dire.

mercoledì 13 luglio 2011

Quanto l'inserzione aiuta le media relations?

Recentemente è uscito un articolo di  Marco Gambaro e Riccardo Puglisi sull'influente sito LaVoce.info che parla di quanto l'acquisto di pubblicità influisca sull'efficacia delle Media Relations.
L'articolo si basa su una ricerca What do ads buy? dell'Università di Milano, Department of Economics, Business and Statistics.
La correlazione più spese in advertising = più copertura media e quindi + efficacia delle media relations viene spiegata così:
Come spiegare questi risultati? Secondo un'interpretazione benevola, esiste un effetto riflettore della pubblicità, per cui la società che compra più spazi acquista notorietà anche agli occhi dei giornalisti, che trovano più facile ricordarsene e menzionarla nei propri pezzi. Secondo l'altra interpretazione, vagamente più malevola, le imprese, in modo più o meno implicito, non comprano soltanto spazi pubblicitari, ma anche l’attenzione aggiuntiva dei quotidiani all’interno degli articoli.

C'è ovviamente su alcuni giornali la tendenza alla marchetta(tutti lo sappiamo) ma c'è anche una spiegazione molto semplice e logica che non deve deprimerci: chi è quotato, chi investe in pubblicità, spesso è più strutturato e dispone di uffici stampa più attrezzati, numerosi e attivi delle altre società.

L’analisi mostra la presenza di un legame positivo, statisticamente ed economicamente significativo, tra l’ammontare di pubblicità acquistata mensilmente su un dato quotidiano da una data società e il numero di articoli che menzionano quella società su quel quotidiano.


venerdì 8 luglio 2011

Mafie, relazioni pubbliche, legalità e rendicontazione

Mentre tornavo a casa in auto ho sentito per radio l'intervento del pres. della camera di Commercio di Reggio Emilia che alla trasmissione su Radio24 di Galullo (Sotto tiro. Storie di mafia e antimafia) che denunciava non solo le infiltrazioni delle mafie nel tessuto imprenditoriale reggiano e tra i colletti bianchi, ma soprattutto l'isolamento che lo aveva accompagnato durante la sua campagna antimafiosa.

Che c'entra con le relazioni pubbliche?

Credo ci siano due motivi principali per cui dovremmo occuparci del tema come comunità dei comunicatori e come associazioni di professionisti:
1- dovremmo smentire l'idea diffusa per cui non si deve parlare di mafia in un territorio per paura di danneggiarne l'immagine. Denunciare e accompagnare anche con la comunicazione dei comportamenti virtuosi aiuta a prevenire e pulire il territorio: lo dimostrano i risultati che il sistema confindustriale ha ottenuto in Sicilia e che sta ottenendo in Calabria, grazie anche a un appoggio dei mezzi di informazione del sistema (Sole 24 Ore e Radio 24 appunto)
2- dovremmo coltivare e incoraggiare una cultura della rendicontazione delle organizzazioni e la sua comunicazione verso gli stakeholder. Questo approccio, che teorie e best practices di RP portano avanti, permette di offrire tutti gli elementi per valutare il grado di legalità diffuso in un'organizzazione e nei migliori casi permette anche di prevenire eventuali atteggiamenti di tolleranza verso l'illegalità, sia sensibilizzando l'opinione pubblica sia sensibilizzando i pubblici interni e esterni (dipendenti, manager, fornitori e clienti). 

Se nell'intervento Bini parlava di alcuni settori in particolare, cioè trasporti-costruzioni-commercio, come particolarmente colpiti, non possiamo non vedere in una cultura della relazioni con gli stakeholder e della rendicontazione un'arma utile. Ricordo a questo proposito una proposta di Toni Muzi Falconi in merito all'inserimento obbligatorio negli appalti pubblici per le infrastrutture di un capitolo specifico riguardante proprio la comunicazione: servirebbe non solo ad ascoltare le esigenze delle comunità locali (forse riducendo le sindromi Nimby) ma anche a obbligare le imprese a farsi più trasparenti. Nonché ad aumentare i campi di intervento di comunicazione e relazioni pubbliche.

Quindi bravo Bini (cfr. video su Mafie), ma ragazzi coraggio mettiamoci anche del nostro.

venerdì 1 luglio 2011

Consorzi editoriali per trattare con i big della distribuzione news

ePresse, la sfida francese per salvare i giornali dalla crisi
Otto giornali, quotidiani e periodici, danno vita a un'edicola digitale per rispondere alle difficoltà economiche e trovare un proprio spazio nel mercato digitale dominato da Google e Apple: l'applicazione è già disponibile. L'incognita degli utenti: sette su dieci vogliono contenuti gratis in cambio di pubblicità
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Nuovo blog

Dal 2 gennaio pubblico i miei post su  https://pranista.blog/