giovedì 26 dicembre 2013

Global Stakeholder Relationships Governance: An Infrastructure. La proposta (convincente) di Toni Muzi Falconi

Sto leggendo il recente libro di Toni Muzi Falconi (a fianco link ad Amazon) Global Stakeholder Relationships Governance: An Infrastructure pubblicato da Palgrave in cui viene proposto non solo un aggiornamento, ma un'integrazione decisiva per il modello di governo delle relazioni, il Gorel, che Toni aveva realizzato con SCR negli anni '80 e poi proposto in una guida pubblicata a puntate su Ferpi.it all'inizio del millennio (e disponibile in .pdf).
Confesso che non l'ho ancora finito ma sono praticamente arrivato all'ultima sezione e vorrei appuntarmi alcune note oggi che le vacanze lo permettono.
La nuova proposta di TMF costruisce attorno al modello di Governo delle Relazioni Pubbliche un'infrastruttura soft/hard, costituita da diversi elementi tra cui spiccano la cultura dell'ascolto per il coinvolgimento e l'engagement degli stakeholder da un lato, la capacità di implementare un'attività di reporting continuo, integrato multistakeholder e multicanale.
A supporto dell'idea centrale di Toni libro troviamo diversi contributi: 

  • l'articolo di James Grunig (Replacing Images, Reputations and Other Figments of the Mind with Substantive Relationships) molto utile a ripercorrere le due differenti visioni delle RP, quella simbolico-interpretativa ormai comunemente accettata e quella strategico-manageriale più vicina alla visione di Toni e Grunig (cfr. lettura di qualche mese fa da Grunig sul tema https://www.youtube.com/watch?v=PBGjUCmk8ok);
  • la dettagliata case history di Emilio Galli Zugaro Chief Communication Officer di Allianz;
  • l'analisi di João Manuel Alves Duarte, noto studioso di RP e stimato comunicatore di Enel;
  • alcune best case histories identificate da John Paluszek e Jean Valin.

In particolare, la parte soft dell'infrastruttura consisterebbe proprio nell'integrazione del paradigma dei principi generici e delle applicazioni specifiche al Gorel, ridefinito Global Stakeholder Relationships Governance, quindi di tutto ciò che è ormai istituzionalizzato come relazioni pubbliche  tradizionali, da un lato. Dall'altro la parte hard si identifica con l'aggiunta di integrated reporting, cultura dell'ascolto, allineamento interno/esterno, alle pratiche hard tradizionali (public affairs, investor relations, community relations, ecc.).
Partendo da considerazioni generali sulla decelerazione del mondo globalizzato, sulle due visioni delle RP e sui quattri ruoli dei professionisti, navigando abilmente tra i paradigmi degli Stockholm Accords, le prescrizioni del Melbourne Mandate e Building Belief (il paper dell'Arthur Page Society che identifica il carattere dell'organizzazione e il ruolo delle RP), con numerose citazioni dal blog collettivo PRConversations, TMF consolida la proposta di integrare le infrastrutture hard e soft per realizzare appunto questo modello globale di gestione delle relazioni con gli stakeholder, in grado - a suo avviso - di affrontare la complessità della società a rete e del mondo globalizzato.
Oltre all'interesse per la parte teorica segnalo (per utilità pratica) le sezioni sulle tecniche d'ascolto, sul reporting, sul Gorel stesso.

L'articolo chiarissimo  di Grunig aiuta a capire perché in effetti non possiamo non provare perlomeno di tentare di spostarci sulla visione manageriale-strategica delle RP; molto utile al professionista il contributo più pratico e meno teorico di Emilio Galli Zugaro; per capire complessità dei network e l'analisi di stakeholder/issue management fatta da Joao Duarte.

Non un libro facile da pensare e realizzare. Non facile neppure la sfida intellettuale per il lettore professionista nel cercare di seguire l'idea di TMF tra i modelli, le proposte di questi anni, l'utilizzo di discipline altre, gli interventi di contributors esterni.
Alla fine credo personalmente di aver adesso più chiarezza nel percorso compiuto dalla riflessione sulle RP in questi anni, da Grunig a Melbourne, che in questo libro TMF riesce a sistematizzare e rendere coerente in un approccio unico. Sicuramente da leggere, necessita di tempo e di uno sforzo intellettuale da investire.
Disponibile in forma elettronica (23,28 euro) e cartacea (50 euro) in inglese su www.amazon.it .  

sabato 14 dicembre 2013

Ispirare con la vision... secondo Simon Sinek

Simon Sinek ha un semplice, ma potente modello per una leadership che ispiri che comincia con con un cerchio d'oro e la domana "Perché?". I suoi esempi includono Apple, Martin Luther King, e i fratelli Wright -- e come contrappunto Tivo...

sabato 7 dicembre 2013

Primarie per il segretario. Paura di cambiare, paura di assumersi responsabilità

Non capisco perché il PD indice primarie per scegliere il segretario del partito, ma ho un timore. 
Le primarie nel 2007 servirono per eleggere Veltroni come primo segretario del partito, ma da quella anomalia origina la bestialità di un'organizzazione che utilizza agenti esterni per scegliere il delegato a una funzione interna e per innescare il cambiamento.
Le primarie - nel resto del mondo - servono per indicare il candidato a una carica pubblica: candidato di partito o candidato di coalizione. Possono essere aperte ai non-iscritti o chiuse ai soli iscritti. Basterebbe farsi un giro su wikipedia per chiarirsi le idee. Ma non si usano le primarie per scegliere una carica interna al partito.
Perché il PD decide di far scegliere a potenziali elettori il segretario?
Perché delega esternamente un cambiamento di cui evidentemente non è capace?
Perché l'elettore potenziale di quello che poi cambierà (ci sarà una coalizione, di centrosinistra? di sinistra-sinistra? di destra-sinistra?) dovrebbe prendersi un impegno, perdere tempo, versare soldi, sottoscrivere qualcosa?
Io, sinceramente, da elettore tradizionalmente di sinistra (ma non iscritto al partito) vorrei un partito che fosse in grado di:
- definire un programma da proporre agli elettori;
- selezionare rappresentanti per senato e camera, ecc.;
- indicare alcuni candidati alle primarie che possano concorrere con altri candidati della coalizione.
Vedere che non riesce a farlo, ma che utilizza le primarie svuotandole di ogni senso, mi dà l'idea netta che sia un partito con pochi contenuti/idee, senza leader e senza una governance in grado di portare a sintesi le posizioni. Un partito che mi sembra sempre più di plastica; un partito che definisce le primarie uno strumento di partecipazione, mentre diventano una scorciatoia per fare un po' di marketing politico, per non guidare il cambiamento e per non prendersi neanche la responsabilità di scegliersi il segretario e i contenuti.
La bestialità sta proprio quindi nell'aver stravolto il senso delle primarie, fingendo di ascoltare gli elettori, mentre l'unico obiettivo è la legittimazione del partito stesso tramite la retorica partecipativa... Le mie aspettative, per un partito che intenda governare il paese e cambiarlo in meglio, non sono queste.

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Dal 2 gennaio pubblico i miei post su  https://pranista.blog/