lunedì 2 agosto 2010

Toni Muzi Falconi, Giancarlo Panico e Sissi Peloso su Pomigliano e le relazioni industriali

L'ultimo paragrafo (molto significativo) di un interessante pezzo di Toni Muzi Falconi & Giancarlo Panico sul caso Pomigliano e sul ruolo delle relazioni pubbliche nelle relazioni industriali/sindacali

La vicenda Pomigliano si produce all’epicentro di quella che è una fase rilevante di discontinuità prolungata del modello sociale ed economico del nostro Paese. Una fase le cui implicazioni, di cui la gran parte del nostro ceto dirigente (non solo politici, ma anche media, industriali, sindacati e osservatori) si ostina a non prendere atto. L’Europa (e l’Italia con le sue specificità territoriali e culturali) è in declino progressivo e il suo modello economico insostenibile. Attaccati ai rispettivi privilegi nessuno dei soggetti intende prendere atto che occorre riparametrare verso il basso le aspettative di tutti: e questo dovrebbe essere il compito di una classe dirigente degna di questo nome. E così le relazioni pubbliche servono alle imprese, al governo, ai sindacati per guadagnare qualche giorno, settimana, mese in più nella speranza che quando la realtà avrà di fatto sostituito le aspettative (è già avvenuto?) le persone si adeguano senza colpevolizzare una classe dirigente che non c’è e avrà fatto di tutto per non compiere il proprio dovere. Da questa prospettiva le relazioni pubbliche vengono utilizzate al loro peggio: illudere le persone che la ripresa c’è, che l’industria tiene, che gli altri vanno peggio e che il sindacato è la parte più retriva e conservatrice del Paese. Tutte cose in parte vere ma che, come spesso accade, non sono in grado di offrire una interpretazione credibile degli avvenimenti….
Il commento di Sissi Peloso, past president Ferpi, e illustre collega che l'altro giorno sollecitava su Facebook alcune riflessioni sul tema Pomigliano-Fiat-relazioni industriali. Ecco il suo commento all'articolo uscito di cui sopra:

Credo non sia possibile ora, per nessun relatore, non porsi domande che impattano pesantemente sull’attività quotidiana. Ho letto il pezzo di giancarlo e toni subito dopo quello di gallino su repubblica.
ho una grande confusione, ma credo che il tutto impatti pesantemente con la responsabilità sociale di ciascuno di noi.
La mia esperienza di quest’ultimo anno e mezzo, come quella di molti di noi credo, ha “epifanizzato” le carenze drammatiche di manager e imprenditori, esplose in tutta la loro virulenza a causa della crisi. A pagare sono i cassintegrati e i licenziati ai quali si offre l’alternativa di contratti che diminuiscono pesantemente i compensi (vedi chrysler per prima, che così torna in utile), annullano i diritti di sciopero, abbassano quelli di malattia (la maternità non ancora, ma arriverà a ruota).
Siamo certi, come chiede gallino, che questa sia l’unica soluzione? E soprattutto che sia la soluzione vincente? E’ vero, il mercato del lavoro deve cambiare se vuole continuare a sopravvivere, ma forse una ridistribuzione più equa del “un po' meno a tutti” eviterebbe tensioni sociali che oggi mi paiono una polveriera pronta ad esplodere. E i relatori in tutto ciò? Possono/devono essere davvero i mediatori delle relazioni tra le parti?
Abbiamo spinto i committenti a credere nella responsabilità sociale, ad inserirla nei loro bilanci con grande enfasi del capitolo “risorse umane” e ora come lo gestiremo? Appoggeremo passivamente le scelte che, come un domino, sono destinate ad essere sposate nel dopo newco fiat oppure rifiuteremo gli incarichi oppure cercheremo di farci parte attiva per una riflessione condivisa sulle conseguenze che una gestione “all’italiana” del problema comporterà?

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