mercoledì 21 maggio 2008

Ripartiamo dalla Zìmmia o dall'Italia Cosmopolita?

Nel mio piccolo, sottoscrivo in pieno il rammarico di Toni (cfr. sotto il pezzo da Ferpi.it) per quella che lui definisce la "fine della cesura socioculturale": il miracolo tutto italiano per cui le elites culturali invece di guidare il cambiamento si adeguano alle tendenze più becere e volgari agitate da frange relativamente rilevanti - a livello di numero e di qualità del peso.
Associata alla retorica del declino nazionale, la situazione è abbastanza deprimente e circoloviziosamente pericolosa.

Sentiamo infatti sempre più ossessivamente dire che siamo un paese allo sbando, economicamente, culturalmente, ecceteralmente...
Ma se ogni tanto noi italians ci prendessimo le nostre responsabilità? Ma se soprattutto ci rendessimo conto che il cambiamento si mette in pratica e non si subisce solamente?

Già a partire dal Forum della Comunicazione della prossima settimana sarebbe importante che nel nostro piccolo ci si mettesse alla guida di un Cambiamento tangibile. Da relatori pubblici dovremmo essere i primi a cogliere le opportunità che i fenomeni globali ci portano e l'esperimento di globalismo sociologico proposto mesi fa da Toni andava sicuramente in questa direzione.
Voglio rilanciare. Anche rilanciare un po' l'idea, la mission che abbiamo del nostro paese.
Io ho l'idea che l'Italia possa e debba diventare un paese Cosmopolita; è una riflessione che da geografo mi porto dietro da tempo in considerazione del passato di questa penisola, dei suoi Comuni, delle sue realtà territoriali; abbiamo nel DNA una diversità di popoli, culture, lingue, gastronomie, che insieme rappresentano l'Italia. Sono una ricchezza multiculturale che ha accentuato negli ultimi anni sempre maggiori differenze: tanto che tutti oggi riconoscono che siamo più Italie.
Ecco allora che dobbiamo cercare qualcosa che non sia un minimo comune denominatore al ribasso (l'Altro, il nemico, per ritrovare/creare una fittizia identità); ma una sorta di massimo comune integratore. Per me si tratta di una visione globale, cosmopolita e multiculturale che ha poi ricadute materiali sulla professione, sul nostro modo di agire, sui mercati e i pubblici da raggiungere.
Io riparto da lì. Anzi da qui.


da ferpi.it

La "fine della cesura socioculturale"
Toni Muzi Falconi esterna il suo rammarico sugli eventi che attanagliano il nostro Paese.

Un grande rammarico. Spero… anche per voi.
Fra emergenze rifiuti, omicidi, agguati di malavita, stupri, violenze … non mi esprimo sulla raccapricciante ondata di xenofobia e di razzismo che ha investito il nostro Paese in queste ultime settimane.
Possiamo ben dirlo, in questi ultimi mesi in Italia abbiamo compiuto un vero e proprio miracolo e siamo riusciti a produrre una autentica discontinuità, che gli storici indicheranno come la ‘fine della cesura socioculturale'.
Invece di quel che accade in altri Paesi, ove sono le elites culturali a impersonare valori, politiche e ambizioni che vengono poi civilmente assimilati e interpretati dal resto dei cittadini; in Italia sono state le elites ad adeguarsi ai valori e alle politiche più becere, impersonate e agite dalle frange più volgari e incolte: di destra come di sinistra, si intende.
Come relatore pubblico, mi rimane il rammarico che non potrò mai sapere se almeno l'ondata di xenofobia avremmo potuto almeno in parte evitarcela, se avessimo davvero fatto partire ai primi dell'anno il programma di globalismo sociologico che avevamo progettato insieme ai nostri colleghi Romeni.
Ricordate? "
Migliorare le relazioni fra Italiani e Romeni attraverso le rispettive comunità migranti"
Toni Muzi Falconi

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